Debutta in prima assoluta la nuova produzione di Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, vincitrice del Premio "Forever Young 15/16", in scena sabato 22 e domenica 23 ottobre al Teatro Arena del Sole di Bologna.
In prima assoluta all’interno della XII° edizione di Vie Festival 2016, sabato 22 (ore 19.00) e domenica 23 ottobre (ore 16.30), all’Arena del Sole di Bologna, va in scena Delirio Bizzarro, spettacolo scritto, interpretato e prodotto da Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, in collaborazione con La Corte Ospitale.
La pièce ha recentemente vinto il Premio di produzione e circuitazione “Forever Young 15/16”, promosso da La Corte Ospitale. La giuria composta da Pietro Valenti, Claudia Cannella, Fabio Masi, Walter Zambaldi, Giulia Guerra ha selezionato lo spettacolo tra oltre 170 compagnie e nella motivazione lo ha definito un lavoro: “Intelligente, poetico, fortemente legato alla contemporaneità, Delirio Bizzarro di Carullo-Minasi aggiunge un nuovo tassello a un felice percorso drammaturgico teso ad indagare la “diversità” come alternativa alla “normalità” e sfida alle convenzioni che ingabbiano il nostro vivere sociale....”
La Compagnia sperimenta una nuova forma di elaborazione drammaturgica, partendo da un lavoro di ricerca sul campo in un centro di salute mentale e dalle domande sottoposte ai pazienti: inchieste in forma anonima che consentano di raccogliere spunti di vita vissuta.
Delirio Bizzarro racconta di un Centro di Salute Mentale. Protagonisti due personaggi: Mimmino, in condizione di “pazzo per attribuzione”, trascorre la propria vita a interrogare le stelle, sconvolto dal futuro, discorde con il presente; Sofia, perfettamente integrata, ossessionata dalla carriera, progresso come religione, ma che avverte un’insania incipiente.
Né pazzi né sani, Mimmino e Sofia in un dialogo serrato – braccio di ferro tra due esperienze di vita completamente opposte – si scopriranno simili, umani, sorridenti, autoironici, sebbene parti inconsapevoli di un sofisticato meccanismo congegnato per rendere l’uomo prigioniero di se stesso e sempre infelice.
Si incontrano in una terra di frontiera, il Centro Diurno di Salute Mentale “il Castello”, in cui il confine tra coloro che stanno dentro e coloro che stanno fuori sfuma in un indistinto resistere tra protocolli da rispettare e vite da normalizzare. Cattedrale ultima dell’identità alienata e interrotta dell’uomo contemporaneo, il “Castello” rimbomba dei dialoghi di due solitudini, nella logica d’un mondo che continua a categorizzare e che quindi esclude.
L'organizzazione sociale, nella sua invadente assenza, è la protagonista indiscussa dello spettacolo: il rimando alla sua amplificata mancanza è affidato all'elemento (indiziale) della scena (vuota). Non rimangono che le mura d’un “Castello” ideale alla cui forma non corrisponde la sostanza: non uno psichiatra, non un pranzo, non un bagno. Due imponenti pareti sconnesse, un labile confine per raccontare un sistema che legifera l'apertura delle porte dei Manicomi ma che – violento - ancora dimentica, respinge e separa. Una scultura quale metafora della società solo protetta da un pannello come fosse una maschera che non comprende (mette insieme) le parti che tutte le appartengono.
"La follia è una condizione umana, in noi la follia esiste ed è presente come la ragione" (Franco Basaglia)
L’elaborazione drammaturgica del testo è partita da confronti e scambi avuti con pazienti di strutture psichiatriche, dialoghi che hanno consentito di raccogliere quadri di vita vissuta. L’esperienza della cura del male mentale s’è trasformata in pretesto per raccontare la società e le sue disfunzioni, approdando ad una follia tutta contemporanea, lì dove è folle la struttura non coloro che la abitano. Dietro il semplice obiettivo di condividere esperienze di vita, s’è sviluppata una ricerca assai singolare lì dove la vera sorpresa è stata la difficoltà d’operare nette distinzioni tra il sano e il malato, tra il certificante e il certificato. Nulla accade se non viene registrato, fuori dall’elenco non esiste nulla, non esistono gli operatori, non esiste la cura.
Chissà forse che i malati non esistano. Chissà forse che i malati siamo noi.
L’oggi attende d’essere storicizzato, non resta che essere affetti da un delirio bizzarro che tutti ci coinvolge.
La Compagnia, fondata nel 2009, è composta da Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo.
Cristiana Minasi è attrice, regista, drammaturga e pedagoga. Laureata in Giurisprudenza, è specializzata in Criminologia e Psicologia Giuridica nello specifico settore dei minori e della famiglia. In collaborazione con Giuseppe Carullo attore e regista, pone le basi per una relazione ed integrazione dei temi della libertà e dignità con molteplici progetti che uniscono teatro e pedagogia e investono Scuole, Università e Carceri.
La Compagnia ha prodotto molteplici spettacoli: “Due passi sono” vincitore del Premio Scenario per Ustica 2011, Premio In Box 2012, Premio Internazionale Teresa Pomodoro 2103; “T/Empio, critica della ragion giusta” vincitore Teatri del Sacro 2013 e finalista al Bando Ne(x)twork 2013; “Conferenza tragicheffimera – sui concetti ingannevoli dell’arte” vincitore del Premio di produzione E45 Napoli Fringe Festival 2103. I tre spettacoli chiudono la Trilogia dedicata al tema del Limite, cifra stilistica della Compagnia, inteso quale risorsa drammaturgico creativa per la definizione di qualsivoglia atto d’arte, nella sua natura prima d’atto politico-democratico. Segue “De revolutionibus -sulla miseria del genere umano” (2015) con i testi originali di Giacomo Leopardi (nello specifico le due Operette Morali: “Il Copernico” e “Galantuomo e Mondo”) con cui la compagnia vince i Teatri del Sacro 2015 ottenendo ottimi riscontri di pubblico e critica.